È UNA TRAPPOLA NON UN GIOCO

10/06/2016

Non so se valga la pena che anche noi, settimanali e riviste cristianamente ispirate, sottolineiamo e raccontiamo storie sempre più schifose e animalesche, consumate con l’uso scorretto dei social network.
A me fanno vomitare, stravolgono e suscitano profondo malessere, quasi vicino all’odio. Purtroppo sono per la misericordia, con dei se e dei ma, che non mi fanno tanto onore. Perdono e ho perdonato persone che ne hanno fatte di tutti i colori. Ma con questi cannibali dell’anima, non riesco a trovare un motivo decente per perdonare.
Arrivo all’ultimo misfatto. Trattasi di un bestione sessantaquattrenne americano, abitante in Portogalli, che è riuscito a rovinare sessualmente una ragazzina italiana tredicenne vivendo, da almeno due anni, una relazione amorosa virtuale, conosciuta su second life, piattaforma di gioco on line, e attraverso la quale sono diventati addirittura marito e moglie.
Poi il bestione, non contento, ha continuato il gioco (con la moglie, non esterna al gioco) fino a Milano, per violentare e atterrire la tredicenne che, per fortuna, ha avuto il coraggio di parlare. Vorrei che chi mi legge fosse d’accordo con me nel cercare strade diverse, alternative alla cronaca e alla pruriginosità che, nel bene e nel male, queste cronache suscitano.
Se, invece, lavorassimo tutti (e per tutti intendo tutti) per prevenire, educare, investire e sorvegliare, con intelligenza e delicatezza, atteggiamenti, solitudini, isolamenti, curiosità, conoscendo bene che in questi campi non trattasi di giochi, ma di trappole, di furbizie adolescenziali presenti in tutte le tipologie di famiglie.
Mi fa infuriare la parola gioco che, con leggerezza assurda, viene appioppata a queste attività. L’approccio è facilissimo ed è studiato con la tecnica più sicura e collaudata. Ci cascano tutti e, quello che è peggio, ci cascano dentro casa.
Perché i genitori italiani non riesco a capire (e lo dico io) che genitori siano e in quale secolo vivano. Una sera, invitato a cena, abbiamo parlato a lungo di come preparare la ragazzina, nel migliore dei modi, a fare “la prima comunione” mentre, a mia insaputa (credevo fosse fuori casa) lei beatamente chiusa in camera, stava giocando.
La frase “stava giocando” me l’hanno detta mentre stavo uscendo. Sono piombato come una iena in camera e “stava giocando” con un personaggio francese. È bastato poco, per capirci. Ecco la famiglia italiana. Noi a parlare della prima comunione e lei a “giocare” con un “X” che più tardi, con fatica, abbiamo “indovinato”.

Don Antonio Mazzi