LO STRAZIO DI UNA MADRE: FIGLI, PARLATE E APRITEVI

24/02/2017

L’intervento che la mamma del 16enne Giò ha fatto nella chiesa di Lavagna, il giorno del funerale, deve arrivare fino alle radici del nostro cuore. Sarebbe incivile banalizzare queste tragedie con le solite interpretazioni preconfezionate e qualunquiste.
Il mondo dei nostri adolescenti tanto è meraviglioso, quanto è misterioso e imprevedibile. E lo è soprattutto per chi è loro più vicino e per chi li ama nel modo più autentico. Pare assurdo quello che dico, eppure è così. Sono saltate tutte le regole, le modalità e le relazioni, le prevenzioni. “Perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da tempo. Vogli immaginare che lassù ad accoglierti ci sia la tua prima mamma (Giò era stato adottato) e che l’abbraccio sia tale da realizzare quel miracolo che io invano ho sperato e tentato di realizzare quaggiù”.
Donna straordinaria, decisa nel cercare ogni mezzo per convincere il figlio, dal carattere “forte, testardo e trascinatore” a smettere di farsi le canne e fumare spinelli. Le aveva provate tutte, come tante altre madri fanno e hanno fatto.
La disperazione è stata infinita ma, ciononostante, la forza materna ha vinto trasformando la tragedia straziante in un messaggio capace di trapassare l’anima di ciascuno di noi.
Ci sono certi dolori nella vita che inaspettatamente scavalcano terra e cielo, riuscendo a commuovere anche il Padreterno. Nel silenzio spaventato di una chiesa strapiena di giovani e di adulti, sono risuonate parole che solo una maternità ferita, può suggerire.
“Vi vogliono far credere che è normale fumare canne fino a sballare. Qualcuno vuole soffocarvi. Imparate a diventare protagonisti della vostra vita. Amate la bellezza, spegnete i cellulari e guardatevi negli occhi. Chiedete aiuto. Per mio figlio è troppo tardi, ma potrebbe non esserlo per molti di voi. Fatelo! E noi genitori dovremmo capire che la sfida educativa non si vince da soli, nell’intimità delle nostre famiglie. Uniamoci, invece, e facciamo rete”.
Cosa rimarrà di questa tragedia, oltre il dolore, oltre l’inquietante “perché”? Forse l’invito del padre di Giò al mister della squadra di calcio in cui Giò giocava.
“Fabio, ora voglio che tu dica ai ragazzi che ogni papà, ogni mamma, tu stesso, tutti gli allenatori e il nostro parroco sono persone che non sono lontane da loro. Persone con cui possono, devono aprirsi e confidarsi in ogni momento. Digli che si accorgano di quanto amore c’è attorno a loro”.
Vorrei ribadirlo anch’io, mettendomi in prima persona: ci sono anch’io. E vi assicuro che vi amo più di me stesso! Parlate, vi supplico, parlate. Non tenetevi dentro il vostro assassino!

Don Antonio Mazzi