PATEH NON È MORTO PER UNA “FATALITÀ”

10/02/2017

Pare quasi che le fatalità in questo periodo giochino solo con lo scopo di manipolare tragedie, violenze, sofferenze e misfatti da romanzo giallo. Ho detto fatalità perché il disagio che mi creano dentro mi sconvolge e mi obbliga a fare pensieri e riflessioni che sbattono contro la mia visione di vita.
Fino a ieri, se ben ricordo, accadeva qualcosa di carino, di inaspettato, di fortunato. Oggi pare che sia sparita perfino la fortuna. È per questo che non voglio scomodare il Padreterno o gli specialisti della psiche.
Mi vergogno, ma mi esce solo la parola fatalità. Arrivo al caso. Pochi giorni fa un ragazzo di vent’anni, africano, è arrivato a Venezia, si è seduto per un po’ di tempo sul pontile in fianco alla Stazione e poi si è buttato in mare.
Centinaia di persone l’hanno visto, attonite. Alcuni hanno offerto il salvagente che lui ha rifiutato. Hanno assistito sprofondare le braccia, poi le mani. Un tassista, turbato, scuotendo la testa, ha borbottato: “Acqua, maledetta acqua!”.
Non conosco la storia di questo ragazzo. Mi hanno detto che era africano. Chissà quante ne ha passate questo giovane: quanti mari e deserti ha attraversato. È venuto a morire nella più bella città del mondo!
Sul pontile c’è lo zaino abbandonato e la gente impietrita come il tassista ha assistito, in diretta, alla disperazione. Parola che spaventa! Non siamo abituati a vedere la disperazione tradotta in modo talmente normale da sembrare naturale.
Può una nazione come l’Italia, una città come Venezia, nel tratto antistante la chiesa di San Simone Piccolo, una domenica pomeriggio, fatalmente vedere consumarsi un gesto così drammatico e così naturale? Perché di fronte al Canal Grande ci sono i negozi più belli di Venezia, c’è la Stazione con il Frecciarossa che scarica i passeggeri per portarli sui vaporetti ai lidi dei cinema, dei giochi, dell’arte e a due passi un ventenne in mare mostrando le sue mani nere, sprofondare nelle tenebre generate dalla stessa bellezza? Perché viviamo in un’Italia che mette insieme le assurdità più inumane con le meraviglie più divine?
Perché un ventenne deve morire così, davanti a centinaia di persone, obbligati a fare niente. Io impazzisco! Non riesco a mettere insieme la natura che genera e la natura che uccide. Facciamoci venire lampi di bontà, lampi capaci di annunciare diluvi carichi di acqua benedetta e non maledetta, di acqua che purifichi quelli che si credono puri e non lo sono, e che riporti a galla, quelli che non si sentono più capaci di vivere?

Don Antonio Mazzi