DROGA, NO AL PESSIMISMO: LA BATTAGLIA CONTINUA

02/03/2018

Caro Direttore,
Antonio Polito, nell'articolo del 23 febbraio, dal titolo "La battaglia alle droghe (dimenticata)", è andato giù pesante, dichiarando con troppo pessimismo che la lotta alla droga è dimenticata e che le comunità, ormai demotivate, hanno "esaurito la spinta carismatica delle prime pionieristiche esperienze". Non è vero! È vero, invece, che gran parte delle battaglie, durissime e sempre nuove contro la droga vengono dissacrate da una burocrazia sempre più potente e sempre più ignorante.
Torno indietro un attimo. Di droga si parla anche troppo e i quotidiani sono ogni giorno pieni di fatti e misfatti, nei quali, per dritto o per rovescio, suppongono la presenza di droghe. Il vero guaio è che se ne parla a sproposito e solo con la voglia di dare notizie morbose e tragiche (vedi "il caso Jessica"). Il mondo delle dipendenze si è diffuso spaventosamente, tocca età quasi infantili, è difficilissimo da intuire e da combattere. Sta distruggendo i giovanissimi perché, questi giovanissimi, fragili e soli, hanno una capacità fortissima di personalizzare e fabbricarsi dosi devastanti e micidiali. I tentati suicidi si stanno moltiplicando spaventosamente. Nel frattempo l'ente pubblico l'unica cosa che sa fare è criminalizzare, moltiplicare le norme, psichiatrizzare e incaricare funzionari sempre più impreparati e solo preoccupati di seguire meccanicamente i codicilli predisposti da capiufficio occasionali.
È urgentissimo ripensare le comunità con metodi totalmente diversi molto più elastiche e aperte a tutte le età, con presenze di personale e di attività tutte da inventare e quindi non ancora catalogabili e tanto meno standardizzabili. Invece le normative regionali sono solo pronte a parlare di doppia diagnosi, di terapie, e di programmi predisposti sempre più lontani dalle vere emergenze. Non dico, poi, che la cosa peggiore nei riguardi di un dodici-quindicenne è etichettarlo come "borderline".
Se vogliamo aprire una nuova stagione positiva per l'Italia, dobbiamo porre al centro dell'intero dibattito il valore dei giovani, la loro crescita, l'integrazione in un quadro europeo e mondiale, multiculturale, per renderli pronti all'interpretazione positiva del tempo presente e alle future sfide, certamente imprevedibili e più incerte delle attuali.
La nostra storia dice che solo superando la visione che fa dei giovani un problema e non un progetto, che solo camminando fianco a fianco e soprattutto ascoltando i loro dubbi e accarezzando i loro sogni, potremo svolgere il nostro compito di società adulta e matura.
Ridare speranza ai ragazzi significa oggi restituire loro quello che gli è stato negato dal forsennato susseguirsi di politiche a loro estranee: cioè il tempo della conoscenza di sé, delle proprie potenzialità e dei propri limiti; il tempo per rielaborare le loro esperienze e il tempo per riempire di significato, di passioni e di senso la loro giovinezza.
I giovani non sono né di destra né di sinistra e nemmeno quello che propongo vorrei fosse ristretto ad un orientamento politico. I giovani sono la speranza, l'aurora.
Tutta la tematica delle dipendenze (dal consumo e abuso di sostanze a tutti i tipi di dipendenza diverse dalle sostanze) non può essere ridotta a un problema sanitario, punitivo e parziale, ma necessariamente deve essere inquadrata all'interno dello scenario culturale e educativo del nostro Paese. In questo orizzonte vorrei proporre alle Regioni e al Governo la costituzione di un Dipartimento all'interno della Presidenza, centrato sulle Politiche Giovanili, che elabori percorsi preventivi coordinati, che acceleri opportunità di trasformazione del nostro agire concreto, nel senso più nobile, finalizzato alla abolizione delle carceri minorili, che per intervenire non aspetta, come al solito, i disastri, i suicidi, le disgrazie e le galere.
Credo pertanto che i fenomeni di devianza siano la parte più superficiale e visibile dei problemi degli adolescenti. Alla radice dei tormentati percorsi autodistruttivi c'è una grave fragilità educativa. Urgono persone che non parlino per sentito dire e che abbiano fondato la loro riflessione su relazioni vere con individui, con gruppi, perché appartenenti alla lunga, ricca e ancora feconda pedagogia attiva, valoriale e personalizzante.
Dobbiamo, tutti, ripartire dalla convinzione che non è possibile affrontare seriamente la crisi, i processi di mutamento delle strutture, delle Comunità, della scuola e della famiglia, senza acquisire il punto di vista trasversale della condizione adolescenziale, dei ragazzi che si affacciano alla società adulta.

Don Antonio Mazzi