QUANDO IL WEB INTRAPPOLA I GIOVANI

21/09/2018

Siamo sempre troppo attenti al macabro, talvolta portando tutto fino alla nausea, pur di trovare qualche spiegazione. E anche questa volta stiamo tutti male pensando ai misteriosi perché che hanno portato Igor Maj di quattordici anni – già promessa nelle arrampicate – ad impiccarsi nella sua cameretta.
Dopo svariate indagini, secondo gli inquirenti, Igor, guardando un video sul "Blackout game", avrebbe visto una sfida che prevedeva un auto soffocamento. Pare che, da qualche tempo, alcuni giovani siano affascinati da questi giochi macabri e, sempre secondo gli inquirenti, anche Igor si sarebbe lasciato indurre da qualche amico a rischiare gesti estremi.
Tra i minorenni, secondo la Procura di Milano, girano video che diffondono la pratica del "Blackout", che consiste nell'autosoffocamento per sperimentare le stesse sensazioni di quando si sta morendo o l'euforia di quando a sette mila metri di quota ci si sente privi di ossigeno.
Io sto molto male per tre cose: per la morte così tragica, insensata e spaventosa del quattordicenne; per la diffusione di video sul web che propongono sfide così assurde; terzo perché ai giovanissimi si permettono attività che collimano e quasi istigano al suicidio.
Tutti adesso siamo qui a discutere sul fatto non pensando che, per chi conosce gli adolescenti, più se ne parla di queste cose e più corriamo il rischio del fascino e dell'imitazione.
Metto insieme le tre cose perché noi adulti siamo sempre più attenti a quanto avviene dopo le tragedie, anziché lavorare per convincere o per proibire attività che contengono altissimi rischi e livelli di colpa dei quali, noi adulti, dobbiamo sentirci investiti.
Si smetta subito di propagandare fatti di questo genere, ma spero, soprattutto, che vengano non solo proibite ma abolite attività di questo genere. I nostri giovani hanno bisogno di avventure positive. Il loro sangue bolle e la loro adolescenza provoca esplosioni che noi adulti dobbiamo prevenire, inventare e controllare perché saranno sempre più presenti e necessarie.
E qui l'educazione deve lavorare molto e i mezzi di comunicazione devono fare un serio esame di coscienza perché, giustamente, qualcuno di noi si domanda: "Ai nostri ragazzi che confondono liturgie di morte con scene di fiction, come rispondiamo? Tacendo? Piangendo? Punendo?".
Quando impareremo a difenderci dal mondo virtuale? O meglio: quando cominceremo? Sempre dopo?


Don Antonio Mazzi