ROGOREDO: NOI DI FRONTE ALL’EMERGENZA

15/03/2019

È vero che molti di noi impegnati nel recupero dei ragazzi con problemi ci siamo resi disponibili per aiutarli ma, soprattutto, per capirli e poi, probabilmente, trovare vie alternative di uscite. Ma l’iniziativa “Fuori bosco”, un forum del Corriere della Sera che il 5 marzo scorso ha riunito alla Stazione di Milano-Rogoredo istituzioni, esperti e associazioni, ha offerto un’ulteriore occasione per convincerci che l’emergenza droga non solo non è spenta, ma sta assumendo aspetti più drammatici e molto più preoccupanti di decenni fa.
Una massa di giovanissimi che “tranquillamente” (fregandosene di tutti, anche di me che avevo fatto un salto nel bosco, per incontrarli) riempie imperterrita il Parco di Rogoredo ed esce con la “spesa”. Qualcuno l’abbiamo convinto, forse ridirottato a scuola e al lavoro. Anche in Exodus è venuto qualcuno ma è durato poco.
Mi faccio due domande: la prima, forse la più facile, riguarda il migliaio di ragazzi salvati, meglio più che salvati, convinti ad uscirne: ce la faranno? La seconda, che credo si facciano anche altri nostri colleghi, riguarda i metodi: quali nuove modalità sarà possibile mettere in atto affinchè le fatiche di tutti, e i tempi di recupero, divengano tempi forti, nuovi, attraenti e costanti?
Questa folla che compare e la scompare, si muove in pochi secondi, è totalmente diversa da quella degli anni passati, da quella dei sottopassi e da quella che noi educatori abbiamo conosciuto e aiutato.
Mi meraviglia positivamente l’impegno che l’intera città di Milano, la stampa, le forze dell’ordine, le comunità di recupero stanno dimostrando. Ho chiamato a raccolta tutti i miei responsabili, proprio a seguito dei fatti e confrontandoci abbiamo capito che quanto andava bene ieri, non è ripetibile.
Stiamo mettendo in piedi laboratori di arte, di musica, di agricoltura e abbiamo ripreso “carovane” molto impegnative (3 mesi, 4000 chilometri in mountain bike, notti tra le cime, eccetera) perché i ragazzi adolescenti, senza sponde genitoriali e amicali, non è possibile chiuderli in una comunità o metterli subito “a regime”.
Vedremo se qualcosa nascerà e se avremo noi educatori, per primi, il coraggio di cambiare e, nonostante tutto, di sperare.


Don Antonio Mazzi