LA SCUOLA DOPO IL COVID

13/08/2020


Nel secolo scorso, in un Paese come il nostro con un alto tasso di analfabetismo, il compito assegnato alla scuola fino a qualche decennio fa era quello di insegnare a tutti a “saper leggere e a far di conto”. Adesso si preferisce partire dal coding.

Saper leggere e far di conto. Qui è molto importante il verbo sapere. Perché non è semplicemente una risposta meccanica quella richiesta, sappiamo che anche i robot leggono e fanno calcoli meglio degli umani, ma un “sapere” e se tutti i ragazzi e tutte le ragazze al termine del percorso scolastico raggiungessero questo obiettivo allora la scuola avrebbe fatto almeno una parte del suo dovere. Infatti dentro al saper leggere c’è la capacità di lettura della storia, personale e collettiva, c’è la conoscenza del territorio, c’è la padronanza dei linguaggi e delle forme di scrittura. C’è la modulazione delle espressioni artistiche, della musica e del teatro. Chi sa leggere, chi conosce e sa apprezzare il significato delle parole, come dice Don Milani, non solo è padrone di se stesso ma sa confrontarsi adeguatamente in ogni circostanza della vita.

Saper fare di conto invece attiene al tema della misura delle cose, del tempo e dello spazio. È l’area della matematica, delle scienze e delle tecniche. Apre alla curiosità sul mondo intero, verifica gli equilibri della natura e cerca modelli di sostenibilità per le convivenze degli uomini. Serve al “governo” delle persone e della casa comune.

Saper leggere e far di conto sono come le due gambe della scuola. Che restano nella sostanza fondamentali per la scuola di oggi e lo saranno anche per quella di domani, pur con tutti i necessari aggiornamenti nella adozione di didattiche esperienziali e nella osmosi con la realtà viva.

Ma per la scuola di oggi non bastano più gli apprendimenti a questo livello.

Ciò che le manca però è il motore, ciò che anima e fa muovere il corpo. Ma attenzione a credere che questa sia solo una metafora bislacca: provate a frequentare dal di dentro tanti istituti comprensivi e vedete se sono solo le LIM che mancano, oppure una buona connessione o anche l’ingegno personale dei docenti. Molto spesso manca altro.

È fiducia e la passione per i ragazzi, è l’attenzione alla qualità delle relazioni, tra i ragazzi, tra studenti e mondo degli adulti, è lo sguardo positivo su ciascuno con le sue connotazioni, le sue fragilità e le sue potenzialità. È La capacità di cogliere le priorità in ogni momento, per il gruppo e per ogni individuo. È la coltivazione del rispetto reciproco. L’anima, il motore, la benzina sono questo, lo sapevamo anche prima ma lo abbiamo visto con grande evidenza in questi mesi di lockdown: le classi che sono state in grado di rimanere compatte e attive, senza lasciare indietro proprio nessuno sono quelle che avevano insegnanti e educatori con questo spirito. Altrove sono passate solo slides e montagne di esercizi.

Tante volte abbiamo visto in diretta che se si innesca un surplus di passione educativa nella relazione con uno studente dato per perso, cominciando col domandargli “come stai?”, ascoltando insieme a lui un brano della sua musica preferita, “perdendo” un po’ di tempo facendo insieme a lui “cose inutili” o anche utili, possono succedere miracoli. Avvengono trasformazioni che possono dare una svolta alla vita, cambiare l’atteggiamento nei confronti della scuola… La passione educativa ha la proprietà di alimentare il fuoco interiore che si trova dentro anche al più svogliato degli alunni.

Ma la scuola, e specialmente la scuola dell’obbligo, e specialmente la vecchia scuola media, in questi anni è invecchiata ed è stata appesantita da impalcature burocratiche, sindacali, normative che hanno sempre più ingrippato il motore della passione educativa.

Ora ecco: ci troviamo in un frangente delicato e nello stesso tempo propizio. Gran parte delle persone interessate al mondo della scuola, per ruolo o per genuino interesse, hanno capito che non si può continuare come prima del Covid. Serve un cambiamento, si dice. Si intuisce la necessità di uno svecchiamento dei programmi ministeriali, che c’è bisogno di altro per i ragazzi. Ma la pressione degli aspetti organizzativi e di sicurezza, l’acquisto di nuovi banchi, le distanze tra i banchi nelle classi, le modalità di accesso, i protocolli, la durata delle lezioni, …, pare che sia così opprimente da non lasciare spazi ad altri pensieri non meno importanti. E c’è il forte rischio che alla fine il cambiamento si riduca ad una nuova cappa di vetro messa addosso agli adolescenti per “proteggerli”.

Avremmo così perso un’altra occasione. È per questo motivo che noi insieme ad altri, stiamo provando a coinvolgere molti “appassionati”, insegnanti, educatori, artigiani, artisti, sportivi, famiglie per cogliere questo momento.

Troviamo insieme in fretta le condizioni minime di sicurezza e dedichiamoci subito ai ragazzi. Questo tempo così importante per loro, non tornerà, e non possiamo spenderlo accontentandoci di averli “protetti” senza però averli preparati, levate le ancore, ad alzare le vele per affrontare il mare aperto. La scuola deve trovare il coraggio oggi di aggiornare il suo storico compito, ma nello stesso tempo, anzi forse ancora prima, deve ritrovare la passione, la sua anima educativa. “Seguir virtute e canoscenza” diceva il poeta.

Non perdiamo altro tempo.

Franco Taverna, Coordinatore Progetti Nazionali Exodus sulla Povertà Educativa