LA REGOLA DEL PIATTO COMUNE

18/11/2021


Quando si parla di regole è inevitabile percepire un certo fastidio.

A nessuno piace sentirsi circoscritto dentro un confine predeterminato, soprattutto se non lo si comprende e lo si percepisce unicamente come senso di un limite.

Da adulti siamo – forse - in grado di capire che le catene da neve sono obbligatorie, e non perché se non le abbiamo ci danno una multa salatissima, ma perché SENZA rischiamo la vita inutilmente. Sappiamo distinguere: servono se nevica, altrimenti no. Sono un’emergenza. Abbiamo la capacità di mettere e togliere, e questo vale per molti aspetti della vita in cui è necessario un sano e opportuno discernimento.

Con gli adolescenti è molto più difficile, perché il senso del limite è spostato sempre più in avanti, e quello che “ai nostri tempi” era fuori discussione adesso è oggetto di continua contrattazione, anche se indubbiamente molte cose ce le siamo dimenticate.

Entrando nel mondo della scuola è stato inevitabile lo scontro, prima perché la maggior parte delle regole ci sono apparse incomprensibili poi perché ne abbiamo pagato qualche conseguenza. Per esempio lavorare con un gruppo di adolescenti con difficoltà comportamentali, “tirarli” fuori dalla classe offrendo loro un contenitore più snello e meno rigido non sempre ha avuto conseguenze positive, anzi.

Si tratta di un equilibrio sempre in bilico e non si finisce davvero mai di imparare.

Poi quest’anno è successa una cosa che ha spalancato ulteriormente la riflessione e l’ha arricchita di significato. È avvenuta durante il campus “PON piano estate”, a cui Exodus Assisi ha partecipato nel mese di giugno e luglio scorsi.

Per i ragazzi, compreso nell’offerta formativa, era previsto anche il pasto. Arrivava ben sigillato e si sa, i ragazzini sono sempre affamati ma anche molto selettivi, e il primo giorno è stato buttato via molto cibo.

Il secondo giorno abbiamo adottato la regola del piatto comune: chi non mangiava una cosa la consegnava e tutto veniva conservato, appunto, in un piatto comune, osservando naturalmente ogni regola alimentare.

Al termine delle attività, dopo un pomeriggio di fatica e caldo il piatto era vuoto, perché riciclato in merende improbabili: pane e insalata, pane e pasta, pane e pane, montagne di pane, andava bene anche così, nudo e crudo.

Ma la cosa che ci ha fatto molto pensare è stato il seguito di questa scelta, perché ogni volta che nel gruppo si è inserito un ragazzo nuovo c’è stato il bisogno -da parte del gruppo- di “informare”: “Dobbiamo dirgli la nostra regola del piatto comune!” E’ diventata qualcosa di più di una regola da rispettare, un segno di appartenenza. Nel nostro gruppo ci si comporta così, noi siamo questo, abbiamo questa identità: era una regola semplice, ma distintiva.

Ed è successa poi la stessa cosa a scuola, nel lavoro in piccolo gruppo, anche se i ragazzi rispetto al “vecchio” gruppo sono un po’ cambiati e certe dinamiche esplosive si sono attenuate.

Portare i ragazzi fuori dalla classe è una grande opportunità di apprendimento, anche se corre i suoi rischi, proprio perché “fuori” si sentono in parte meno vincolati. Se poi il piccolo gruppo finisce per essere un grande gruppo perché le difficoltà riguardano quasi la metà degli studenti è ancora più rischioso.

E quindi, un po’ come la necessità delle catene da neve, le regole sono state ben chiare dall’inizio.

Regola N.1: Chi non dimostra di avere già fatto in autonomia parte del lavoro, non viene più aiutato (regola già tradita in partenza, perché noi sappiamo benissimo che la maggior parte di questi ragazzi sono senza libri e senza internet e quindi senza accesso al registro elettronico). Ma, pazienza, la regola c’è, e facciamo finta che vada bene ugualmente se poi arriva un messaggio su Wapp con scritto ho consegnato il compito. In fondo sono passati solo trentasei giorni da quando è stato assegnato.

Regola N. 2: Se io parlo deve esserci silenzio, altrimenti mi fermo, e se non finiamo in tempo ognuno si arrangia poi da solo a casa. Ovviamente le interruzioni sono infinite, così come le gomitate e gli insulti reciproci per richiamarsi a vicenda con la paura di non concludere in tempo.

Regola N. 3: Per studiare bisogna avere almeno una penna e un quaderno (scontato?).

Ma anche in questo caso la regola è qualcosa di più, che va oltre. Ogni volta che si aggiunge uno studente nuovo è il gruppo a richiamarla: questo gruppo ha questa regola, altrimenti non puoi partecipare.

È una forma di appartenenza, un po’ come succedeva negli ordini monastici, cioè è una Forma di Vita.

È un processo di identificazione attraverso un linguaggio comune, realtà di cui gli adolescenti hanno immensamente bisogno.

Che poi non si osservi è tutta un’altra storia.

Barbara Invernizzi, Educatrice Exodus Progetto Donmilani2 – Polo di Assisi