Quarant’anni. Quelli di una carovana che è una comunità. Di un «Exodus» che è un cammino. Di corpi e di anime. E il doppio, più quindici. I 95 anni di colui che quell’«esodo» ha tracciato la mappa. Ma anche il mezzo secolo di amicizia e di collaborazione tra due veronesi «de soca» che ha radicalmente cambiato l’approccio alla tossicodipendenza e al disagio giovanile.
Non c’era, ieri, don Antonio Mazzi all’incontro che ha fatto da sigillo alla tappa cittadina della Carovana 2025 che celebra i 40 anni di Exodus, «viaggio di trasformazione sociale, personale e collettiva».
Ha mandato un video, il don, di «poche parole, che escono dal mio cuore», in cui ha raccontato la nascita di quella comunità e di quell’«educazione in cammino». Incontro nella sala civica di via Quinzano, con il vescovo Domenico Pompili, la presidente della seconda circoscrizione Elisa Dalle Pezze, Giovanni Mazzi presidente dei centri Giovanili e Marco Pagliuca, educatore e responsabile della Carovana 2025.
E quell’amico che lo ha affiancato nel far fiorire quella che 40 anni era «un’idea». Il professor Vittorino Andreoli. «Quarant’anni fa - ha raccontato - esistevano già comunità famose, ma il loro metodo portava più a “terapeutizzare”, che a educare e rieducare. Per me, invece, il verbo “educare” deve essere sempre centrale e preventivo. Allora c’era solo un professionista che poteva esaudire questo binomio nel modo giusto ed era il professor Andreoli».
Colui che, «del resto è il mio lavoro, a don Mazzi ho fatto la diagnosi di “matto”. Uno tra il pellegrino e l’eretico, tanto che gli dissi che se Giordano Bruno era stato bruciato in Campo dei Fiori, lui lo sarebbe stato in Piazza Erbe».
Colui che, «del resto è il mio lavoro, a don Mazzi ho fatto la diagnosi di “matto”. Uno tra il pellegrino e l’eretico, tanto che gli dissi che se Giordano Bruno era stato bruciato in Campo dei Fiori, lui lo sarebbe stato in Piazza Erbe».
E la storia di quell’amicizia è un cammino nel cammino. Nell’Exodus. Con Andreoli che dal lavoro in America aveva portato la convinzione che l’uso di droga non si potesse risolvere con farmaci o costrizioni. «Nel 1974 arrivò la nuova legge che sancì che il consumo di stupefacenti non era più reato. Un giorno ero a Roma e don Mazzi mi chiamò. “Guarda che tra poco ti telefonano. Tu devi dire di sì”». Non disse, il don «matto», chi avrebbe chiamato e per cosa. Poco dopo squillò il telefono. «Era l’allora presidente della Regione Lombardia che mi disse che don Mazzi gli aveva proposto un’idea. Al che lui gli chiese se c’era un fondamento scientifico in quell’idea e il don gli rispose che “di quello se ne occupa Vittorino Andreoli”».
Venne preso alla sprovvista, lo psichiatra. «Ma risposi di sì, che era assolutamente così. “Garantisco che è un’attività scientifica”, dissi. E fu così che la Regione Lombardia sostenne quell’idea folle, che mi convinse della correttezza della mia diagnosi. Vale a dire che don Mazzi fosse matto». Gli impose, lo psichiatra, di realizzare quell’«idea», «ma con tutti i crismi. “Falla per ragazzi e ragazze e proponi una visione del mondo diversa da quella che porta alla droga”». È partita così, la prima Carovana Exodus. Erano, 40 anni fa, 13 giovani e 5 educatori. Il viaggio durò nove mesi, attraversò tutta la Penisola «senza perdere nessuno dei partecipanti». E Andreoli ne seguì ogni metro. «Quell’idea era non tanto disintossicare i ragazzi, anche quello, ma soprattutto farli uscire da quell’ambiente. E fargli fare delle cose. L’idea era che la carovana girasse e si fermasse dove si poteva aiutare gli altri. Per allora era una rivoluzione. È stata una storia meravigliosa, perché tutti quei ragazzi il viaggio lo volevano continuare».
L’«eresia» di Exodus che si declina anche all’oggi. «L’ambiente - ha continuato Andreoli - è corresponsabile. E il problema oggi è dare un aiuto ai giovani in una società in cui non è facile orientarsi. Hanno bisogno di fare, i giovani, di ruoli precisi, anche in famiglia. Si deve creare l’idea dell’exodus nell’adolescenza. Questa è la grande idea di don Mazzi».
Con il vescovo Pompili che ha ricordato come «la parola “matto” sia contigua a quella di “genio”, che è un matto che genera, che crea. E questa è la caratteristica di don Mazzi. Aver capito che la droga è la risposta sbagliata a una domanda giusta, a una domanda di “senso”, il desiderio di autorealizzarsi. Viviamo in una società drogata e dipendente.
Don Mazzi ha visto gli “scartati” e in anni in cui l’educazione sembrava inutile non solo ha intuito che dietro certe crisi c’è una domanda di educazione, a cui lui è stato capace di rispondere, offrendo una proposta alternativa». Quell’«educazione in cammino» che da 40 anni sono Exodus e la sua Carovana.
Angiola Petronio su “Corriere del Veneto”