OGNI RAGAZZO HA QUALCOSA DA RACCONTARE

24/01/2024


Il numero di adolescenti presi in carico dai Servizi Territoriali aumenta di giorno in giorno.
Si tratta prevalentemente di salute mentale, giustizia minorile, riabilitazione dell’età evolutiva, oltre che di Istituzioni educative come la scuola che segnalano ogni giorno situazioni di grande complessità.
Sono i ragazzi che poi spesso vengono dirottati ai nostri progetti, perché dopo una serie di colloqui e di valutazioni subentra una grande consapevolezza del limite: c’è bisogno di relazione e di esperienza, soprattutto per quei ragazzi chiusi nei silenzi della solitudine emotiva e psicologica, o che provengono da vissuti di devianza minorile.

Come stai? Bene. Cosa hai fatto oggi? Niente.
Questa è la risposta che molti genitori si sentono dire tutti i giorni, e che disarmano qualsiasi buona intenzione.
Spesso i ragazzi non parlano, o non hanno molto da raccontare, perché la loro vita è chiusa dentro spazi molto piccoli, dove le relazioni sono per lo più virtuali, dove manca l’esperienza reale delle cose o si traduce in una complicità da branco che poco ha a che fare con l’amicizia autentica.

Quando nasce una relazione educativa avviene una sorta di stravolgimento, come un’apertura improvvisa e ne facciamo esperienza quando, per esempio, entriamo in una classe e si viene inondati dai tanti…ti devo raccontare una cosa…e il suono della campanella mette fine purtroppo a quella voglia di dirsi, e magari si continua sottovoce durante la lezione sussurrando segreti e confidenze a scapito della geografia e della matematica.

Poi c’è chi della scuola proprio non ne vuole sapere, perché la sua scuola è la strada, dove ha imparato a sopravvivere di espedienti e trasgressioni, ma a scuola è obbligato a venirci, e diventa faticoso capire come andare avanti; però parla, parla tanto, ha un suo vissuto da inseguire e da spiegare, ha una sua intelligenza che sfugge alle regole del vivere comune ma che ha estremo bisogno di condividere senza giudizi e prediche sull’importanza dello studio e dell’impegno. E se si ha la pazienza di chiudere il libro (o di non aprirlo affatto perché tanto non si riesce anche davanti alle peggiori minacce) e si rimane in ascolto, si scopre che proprio quelle persone scrivono poesie e canzoni, dove è raccontato il mondo.

In fondo lo scriveva anche Natalia GinzburgIo posso scrivere soltanto delle storie, se faccio qualunque altra cosa, se studio una lingua straniera, se mi provo a imparare la storia o la geografia soffro e ho come una nausea in fondo a me. Il mio mestiere è scrivere delle storie, cose inventate o cose che ricordo della mia vita ma comunque storie, fatte di memoria e fantasia”.

E infine ci sono i laboratori del pomeriggio, debitamente preparati e organizzati in scansioni orarie che normalmente non si riesce a rispettare, perché ognuno arriva col suo carico di racconti che si sovrappongono in una straordinaria confusione, anche se magari è solo lo sfogo per una mattinata andata storta o un litigio in famiglia.
Dunque sì, al cuore di ogni relazione educativa nasce inaspettato il bisogno crescente di dire e di dirsi, e passare dal bene/niente a qualcosa che va oltre e attinge all’esperienza, perché raccontare significa diventare consapevoli.
Alex (nome di fantasia) si sta avviando alla conclusione del suo percorso di condotta riparativa, conta i giorni perché non vede l’ora di sentirsi di nuovo libero. Conta i giorni perché è cresciuto, perché ha avuto la possibilità di fare molte esperienze inaspettate, e in fondo gli dispiace che questa avventura si stia concludendo.
Ma soprattutto conta i giorni perché il suo tempo si è trasformato in qualcosa da raccontare.

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Barbara Invernizzi, Polo Exodus Assisi