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									Se  voglio essere me stesso, vi dirò che la cosa che mi ha quasi rapito ma è stata  la semplicità e la precarietà che ha fatto trasparire l’intera liturgia. Tento  di definirla in poche parole: un prete vero che dice una messa vera, con una  normale pianeta rossa, con le scarpe da montanaro, levandosi e rimettendosi la  cosiddetta papalina, e pregando con Dio come un figlio parlerebbe a suo padre.
									Niente  accenti, sospiri, enfasi, non una cerimonia in più. Il calice i parroci  l’avrebbero più “decente”. Due ragazzi che gli hanno portato la bacinella e  l’ampollina per lavarsi le mani. Un vangelo commentato sottovoce, con la forza  dirompente che solo il sottovoce fa esplodere. Il tema: gli intellettuali della  religione, della Palestina di allora, quelli che avevano il potere, che portavano  avanti la catechesi del popolo con una morale fatta dalla intelligenza e non  dalla rivoluzione di Dio. Di fronte a loro, stava un popolo umile, scartato e  bastonato da questa gente. 
									Poi,  con lo stesso tono, quasi monotono, ha sparato il resto delle sue cartucce  apostoliche, riportando all’oggi, la “farisaica” situazione. “Anche oggi nella  chiesa accadono queste cose. C’è quello spirito di clericalismo in base al  quale i chierici si sentono superiori, si allontanano dalla gente. È una  edizione nuova di quella gente. E vittima è ancora una volta il popolo povero e  umile”. Ha chiuso la riflessione citando l’ultima frase del vangelo di Matteo:  “I peccatori e le prostitute andranno avanti a voi nel Regno dei cieli”. 
									Travolgente  la capacità del Papa di rovesciare la burocrazia vaticana dicendo, con  l’esperienza del normale pastore di una qualunque parrocchia, frasi che già  allora provocarono a Cristo qualche “dispiacere”. Stavo sognando?
									Finita  la messa ci ha salutati tutti. Io mi sono presentato dicendo: “Faccio parte di  quei pastori che ne perdono 99 di pecore. Cosa devo fare?”. Sorriso, appena  abbozzato, che si è allargato quando ho spiegato che i “miei ragazzi”  (intendendo gli Educatori Senza Frontiere) siano stati a lavorare nel quartiere  povero e problematico Laferrere, quando lui era ancora Cardinale di Buenos  Aires.
									Ho  regalato alcuni nostri libri. Ci ha benedetti, ero con Cristina, e noi ci siamo  sentiti felici di quella felicità interiore che fai fatica a capire ma che ti  godi senza capirla. Finisco: è un Papa che sorride appena, che fa gesti i più  semplici, però, dopo che l’hai visto, ti accorgi che non sei più quello di  prima.
                                    
                                    Don Antonio Mazzi