 
                        
                                  Ancora  una volta Papa Francesco apre un metodo ascetico e pedagogico con una sola  frase: la terapia del sorriso. Potrebbe essere interpretata dai sommi teologi e  dai cervelloni tritati dentro le teorie scritte in inglese e ricamate su  libroni dall’alto profilo col sarcasmo più che col sorriso.
                                  Papa  Francesco, pastore, vuole arrivare al popolo, alle pecore che sono felicemente  nel “recinto” ma soprattutto alla altre, quelle disperse, disorientate,  distrutte o sedotte dai nuovi lupi travestiti dalle tecniche ultramoderne.  Questa è la sua priorità.
                                  Chi  sta tra la gente, normale o no, ha notato che per mille motivi nessuno ha più  coraggio, tempo o voglia di sorridere. È troppo rischioso. Chi sorride di  questi tempi è almeno superficiale e ipocrita. Invece il Papa, che tutto è  tranne superficiale e ipocrita, ne ha fatto un suo postulato pastorale e lo  vuole vedere applicato da coloro che stanno con lui.
                                  Da  qualche tempo, con mia meraviglia, ho visto che sugli scaffali più in evidenza  delle grandi librerie, vi sono parecchie opere che parlano di felicità. Credo  cha la felicità e il sorriso possano viaggiare in coppia.
                                  Cito  solo, per comodità, tre testi molto popolari e semplici, ma totalmente dedicate  al tema. “La felicità e altre piccole cose di assoluta importanza” di Haim  Shapira; “Il grande libro della felicità” a cura di Ginevra Belli e “Serenity.  Aforismi sulla serenità” a cura di Francesca Pozzi.
                                  Non  sono andato a scomodare psicologi o teologi. Ma la semplicità che racchiudono  questi volumetti è favolosa. Esplicito usando alcune riflessioni di un mio  amico prete, don Pellegrino. “Sì, è banale iniziare col dire che viviamo in un  momento di crisi, banale, ma reale. Ormai non si parla d’altro: crisi  economica, crisi politica, crisi energetica, crisi industriale, crisi morale,  crisi matrimoniale, crisi idrica”.
                                  Di  una sola crisi non si parla: della crisi dei sorrisi. Quante mascelle grintose,  quanti musi ingrugniti, duri, facce di traverso come la torre di Pisa. Siamo  nel mondo dei non ridenti, in una società povera di letizia, a cominciare  proprio dall’Italia: la nazione più triste d’Europa.
                                  Qualcuno  sostiene che il 70% degli italiani è ammalato di scontentezza. E dove non si  ride, manca un ingrediente fondamentale della nostra umanizzazione. Perché  ridere è segno di maturità. Ridere è da buoni. Ridere è da liberi. Ridere è da  civili.
                                  Finisco  con una frase di Benigni: “Vorrei tanto essere un clown perché è l’espressione  più alta del benefattore”.
                                    
                                    Don Antonio Mazzi