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										Eccoli: "Il figlio quindicenne del boss uccide l'amico per un like sulla foto di  una ragazzina". La pagina accanto: "Scappa dalla famiglia adottiva perché  aveva nostalgia dei suoi genitori". Volto pagina e mi arriva la terza botta al  cuore. "Blu Whale, quattro casi sospetti a Milano. Attenti a tagli e stranezze  dei ragazzi".
										Ci sono vari modi per reagire a queste  notizie. Il primo: voltare pagina. Il secondo: drammatizzare. Il terzo, e su  questo mi fermo, voglio ribadire con più forza e coraggio del solito, l'urgenza  di lavorare in modo più profondo, urgente e non tragico, l'intero tema dei  nostri figli.
										Dentro  di loro si stanno frammischiando conoscenze, curiosità, solitudini, fragilità, troppo "interessanti" (mi scuso per  l'aggettivo) e più potenti del loro impianto psicologico ed etico.
										Fino a ieri abbiamo insistito sul bisogno  di informazione. Finalmente, tardi come sempre, oggi abbiamo capito che solo l'informazione non solo non è sufficiente, ma  potrebbe diventare rischiosa, pericolosa e "stimolante".
										Nel contempo c'è un'altra parola che  sprechiamo su tutti i giornali, radio e televisioni: formazione. Ma mentre  informare è facile, formare è sempre stato il mestiere più difficile.
										Oggi, poi, se vogliamo essere onesti  fino in fondo, esistono forti dubbi sulla  capacità di formare da parte di tutti noi adulti, compresi i genitori, i  professori, i preti e gli animatori vari.
										Se poi prende piede questo fenomeno  bestiale, assurdo, inspiegabile, contro natura come la "balena blu" tutte le  nostre esperienze e professionalità vengono annullate in un attimo. Ho avuto un  solo pallido e breve esempio. Ne sono uscito sconvolto. Credevo che il male  finisse con l'ISIS. Qui siamo ben oltre.  Basta pensare al tutor che prepara al suicidio.
										È una tipologia di "male" che mai  avrei immaginato. Supplico e prego chi mi legge di ascoltarmi. È difficile  tenere insieme preoccupazione e intuizione, senza lasciarsi spaventare. Lo  spavento non serve.
										Serve,  invece, la capacità di leggere dentro agli occhi di vostro figlio e subito  chiedere aiuto. Parliamone poco in pubblico. I giornali dovrebbero riempire le pagine con  storie e testimonianze totalmente diverse. Genitori, vi do un tempo di allerta:  attorno ai sedici anni.                                 
                                    
                                    Don Antonio Mazzi