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									Fino  a ieri, se ben ricordo, accadeva qualcosa di carino, di inaspettato, di  fortunato. Oggi pare che sia sparita perfino la fortuna. È per questo che non  voglio scomodare il Padreterno o gli specialisti della psiche. 
									Mi  vergogno, ma mi esce solo la parola fatalità. Arrivo al caso. Pochi giorni fa  un ragazzo di vent’anni, africano, è arrivato a Venezia, si è seduto per un po’  di tempo sul pontile in fianco alla Stazione e poi si è buttato in mare.
									Centinaia  di persone l’hanno visto, attonite. Alcuni hanno offerto il salvagente che lui  ha rifiutato. Hanno assistito sprofondare le braccia, poi le mani. Un tassista,  turbato, scuotendo la testa, ha borbottato: “Acqua, maledetta acqua!”. 
									Non  conosco la storia di questo ragazzo. Mi hanno detto che era africano. Chissà  quante ne ha passate questo giovane: quanti mari e deserti ha attraversato. È  venuto a morire nella più bella città del mondo!
									Sul  pontile c’è lo zaino abbandonato e la gente impietrita come il tassista ha  assistito, in diretta, alla disperazione. Parola che spaventa! Non siamo  abituati a vedere la disperazione tradotta in modo talmente normale da sembrare  naturale.
									Può  una nazione come l’Italia, una città come Venezia, nel tratto antistante la  chiesa di San Simone Piccolo, una domenica pomeriggio, fatalmente vedere consumarsi  un gesto così drammatico e così naturale? Perché di fronte al Canal Grande ci  sono i negozi più belli di Venezia, c’è la Stazione con il Frecciarossa che  scarica i passeggeri per portarli sui vaporetti ai lidi dei cinema, dei giochi,  dell’arte e a due passi un ventenne in mare mostrando le sue mani nere,  sprofondare nelle tenebre generate dalla stessa bellezza? Perché viviamo in  un’Italia che mette insieme le assurdità più inumane con le meraviglie più  divine?
									Perché  un ventenne deve morire così, davanti a centinaia di persone, obbligati a fare  niente. Io impazzisco! Non riesco a mettere insieme la natura che genera e la  natura che uccide. Facciamoci venire lampi di bontà, lampi capaci di annunciare  diluvi carichi di acqua benedetta e non maledetta, di acqua che purifichi  quelli che si credono puri e non lo sono, e che riporti a galla, quelli che non  si sentono più capaci di vivere?
                                    
                                    Don Antonio Mazzi