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                                        Dopo svariate indagini, secondo gli  inquirenti, Igor, guardando un video sul "Blackout game", avrebbe visto una  sfida che prevedeva un auto soffocamento. Pare che, da qualche tempo, alcuni  giovani siano affascinati da questi giochi macabri e, sempre secondo gli  inquirenti, anche Igor si sarebbe lasciato indurre da qualche amico a rischiare  gesti estremi.
                                        Tra i minorenni, secondo la Procura di  Milano, girano video che diffondono la pratica del "Blackout", che consiste  nell'autosoffocamento per sperimentare le stesse sensazioni di quando si sta  morendo o l'euforia di quando a sette mila metri di quota ci si sente privi di  ossigeno.
                                        Io sto molto male per tre cose: per la morte così tragica, insensata e  spaventosa del quattordicenne; per la diffusione di video sul web che  propongono sfide così assurde; terzo perché ai giovanissimi si permettono  attività che collimano e quasi istigano al suicidio.
                                        Tutti adesso siamo qui a discutere sul  fatto non pensando che, per chi conosce gli adolescenti, più se ne parla di  queste cose e più corriamo il rischio del fascino e dell'imitazione.
                                        Metto insieme le tre cose perché noi  adulti siamo sempre più attenti a quanto  avviene dopo le tragedie, anziché lavorare per convincere o per proibire  attività che contengono altissimi rischi e livelli di colpa dei quali, noi  adulti, dobbiamo sentirci investiti.
                                        Si smetta subito di propagandare fatti  di questo genere, ma spero, soprattutto, che vengano non solo proibite ma  abolite attività di questo genere. I  nostri giovani hanno bisogno di avventure positive. Il loro sangue bolle e la  loro adolescenza provoca esplosioni che noi adulti dobbiamo prevenire,  inventare e controllare perché saranno sempre più presenti e necessarie.
                                        E qui l'educazione deve lavorare molto  e i mezzi di comunicazione devono fare un serio esame di coscienza perché,  giustamente, qualcuno di noi si domanda: "Ai nostri ragazzi che confondono liturgie di morte con scene di  fiction, come rispondiamo? Tacendo? Piangendo? Punendo?".
                                        Quando impareremo a difenderci dal  mondo virtuale? O meglio: quando cominceremo? Sempre dopo?
                                    
Don Antonio Mazzi