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                                        Ma  poiché nessuno sa chi sono i disperati che vengono, perché vengono, chi sono  coloro che li fanno attraversare il mare e dove questi vogliano andare, anche in questo caso è  più la confusione che la soluzione. 
                                        E, per questa incomprensione, i  disperati rimangono sempre più disperati, noi non sappiamo perché siano in  mezzo al mare ad aspettare e, per di più, l'Europa intera sta litigando ogni  giorno sempre più per sapere dove mandarli e le quote, come fossero fette di  salame, da suddividere tra i vari stati.
                                        Ho cominciato così l'articolo per non  maledire coloro che fanno di tutto perché la politica serva a farci del male, a  complicare le cose e, in Italia, a far cascare come polli allo spiedo sia  quelli che di politica ne sanno più degli altri e, soprattutto, quelli che non  vogliono rotture di scatole a colori.
                                        Noi,  nelle comunità Exodus, soprattutto quelle in Calabria, abbiamo aperto cinque  strutture per i minori e sono quelle che ci disturbano di meno rispetto a tutte le altre comunità di  disperati italiani che educhiamo e accogliamo da trent'anni.
                                        E noi, che le loro storie in diretta  le sentiamo senza intermediazioni giornalistiche e televisive, chiediamo di  essere lasciati in pace noi e che vengano lasciati in pace loro e, appena  possibile, vengano ricongiunti alle loro famiglie, dovunque esse siano.
                                        Spiego, ancora meglio, come stiamo  organizzando le piccole strutture che abbiamo pulito, sistemato e messo a loro  disposizione. Voglio precisare, per quelli che la malafede ce l'hanno sempre  pronta e fresca di giornata, che le cinque piccole comunità di cui parlo le ho  viste la settimana scorsa.
                                        Insegniamo  la lingua italiana, li aiutiamo a recuperare quel poco di scuola che hanno  fatto nei loro paesi ma, soprattutto, ascoltiamo i loro "dolori" e le loro  paure, curiamo la loro salute e tentiamo, con fatica, di far capire che in Italia ci sono anche persone che  li amano e che fanno di tutto perché nel loro mondo e nel nostro, torni un po'  di pace.
                                        Vi debbo dire che, tornando dalla  Calabria, e sentendo sull'aereo i discorsi che facevano i viaggiatori, la  tristezza ha distrutto quel po' di speranza che loro, gli invasori, mi avevano  elargito.
                                    
Don Antonio Mazzi