FRANCESCO CHIEDE SCUSA AI GAY E AGLI EMARGINATI:
LA CHIESA NON DISCRIMINI

05/07/2016

Non ci deve più meravigliare quando il Papa affronta i suoi temi preferiti. Sappiamo bene che non si ferma a quello che dice ma quando sceglie, sceglie sia nel dire che nel fare. Già altre volte ho scritto che, diversamente da tutti gli altri Pontefici, lui è rimasto Pastore del mondo e Vescovo di Roma.
E non è rimasto così per allungare il suo biglietto da visita di titoli e cariche. Lui, uomo di misericordia, di rispetto e di amore a tutto tondo, non disdegna, anzi predilige, riflettere sulle nuove situazioni che investono la chiesa rileggendo e ritoccando le vecchie dottrine confermate da secoli di pastorale parrocchiale e popolare.
Sull’aereo di ritorno dall’Armenia, intervistato come sempre dai giornalisti, senza secondi fini non si è fermato solo a chiedere scusa ai gay, cosa troppo amplificata dalla stampa e troppo parziale vista l’ampia capacità di abbracci di questo Papa.
Ne ha approfittato, ancora una volta, per chiedere perdono ai poveri, alle donne violentate, ai bambini sfruttati da padroni schiavisti. Ha aggiunto anche un altro tema, evidenziandolo con una espressione che dovrebbe portare ad un cambiamento (secondo me) pastorale importante: scusarsi per aver benedetto troppe armi.
Sotto questa espressione, ai profani di poco peso, ci sta la visione di una chiesa che non solo non vuole e non alimenta la guerra, ma che arriva molto e molto prima. E qui permettetemi di tradurre il mio concetto in una domanda, provocatoria e in parte forse troppo radicale.
Cosa ci stanno a fare i cappellani nelle caserme? Come può essere giustificata la loro presenza se il Papa arriva a chiedere perdono perfino alle tante armi benedette? Altre volte, a questa domanda, ho ricevuto risposte scontate e per alcuni evidenti, ma per me ipocrite ed equivoche. I cappellani sono lì per i militari, per i giovani che devono usare le armi, per le anime di questi ragazzi. Faccio fatica, tanta fatica, a digerire frasi così superficiali e banali.
Per Francesco la chiesa ha fatto tante scelte sbagliate. Soprattutto ha lavorato più per giudicare e dividere che per perdonare e unire. E, tornando ai gay, il Papa ci tiene a dire che queste persone vanno trattate con delicatezza e non vanno emarginate.
Si può condannare qualche manifestazione offensiva per gli altri. Ma se una persona omosessuale (il Papa preferisce questa dicitura) cerca Dio, chi siamo noi per giudicare? Se il nome di Dio è misericordia non lo può essere solo per alcuni. La misericordia, come ha ben espresso nel suo messaggio ormai famosissimo e tradotto in 86 lingue, abbatte “ogni dogana pastorale” nata per impedire alle persone di essere amate da Dio e accompagnate dai suoi pastori.

Don Antonio Mazzi