IL DRAMMA DI NADIA, MENO ISPEZIONI E PIÙ EDUCATORI

04/02/2017

Il dramma della giovane terapista Nadia, accoltellata dal suo “paziente”, mentre sconvolge tutti, colpisce ancora di più noi che lavoriamo in questo campo da anni e che ospitiamo da sempre persone con problemi di disagio tra i più vari e complicati.
Reazioni violente e inspiegabili mi obbligano spesso a discutere con i miei educatori, preparati dai titoli di studio a fare questo lavoro, ma spesso non altrettanto “preparati” ad affrontare esplosioni e reazioni così rapide e improvvise.
Mi dispiace che sui giornali si parli in modo molto superficiale di “residenzialità leggera” e si racconti alla bene meglio quanto accade in queste strutture.
Si fa fatica ad abbinare il verbo conoscere alla parola disagio. In Italia abbiamo aperto strutture semplici, familiari, moderne, per casi e storie che fino a ieri erano descritte con titoloni scientifici e psichiatrici da spaventare.
La parola “disagio” nasconde tragedie precedenti e giovinezze cariche di problemi e di sofferenze che nemmeno gli specialisti più esperti riescono a d interpretare ed inquadrare. Lo voglio dire perché a queste nuove realtà spesso vengono affidati casi non sempre con la dovuta chiarezza e con i rischi legati, ipotetici o meno, ad esse.
Le figure terapeutiche tecniche, ed educative, che devono collaborare con queste persone, non possono e non devono essere lasciate mai sole, soprattutto quando la situazione, come si dice, è tutta sotto controllo e tranquilla.
A me i drammi più delicati e le vicende ad alta pericolosità, sono sempre scoppiati nei giorni più felici e negli orari più normali. Non è un giudizio e tanto meno una critica. Però l’ente pubblico e i servizi sul territorio non credo abbiano capito quanto sia delicato e complicato il “nostro mestiere”.
Soprattutto non hanno capito che, queste realtà, non vanno aperte e convenzionate solo alla luce del numero di tecnici qualificati che hanno. Vanno pensate figure intermedie di operatori, anche non titolate, anzi, ma con grande esperienza lavorativa, sportiva ed educativa.
Le nuove tipologie di disagio che stanno arrivando nelle nostre strutture, obbligano a rivedere modi, metodi, programmi e responsabilità. Si facciano meno ispezioni “burocratiche” e si ascoltino di più i responsabili che hanno una montagna di proposte da discutere, ma che poi, devono ridursi a dichiarare i metri quadri delle finestre, il numero dei gabinetti e la firme sui registri.

Don Antonio Mazzi